martedì 10 maggio 2016

the last dream...

Quasi sicuramente non vedrà mai la strada perché i suoi facoltosi futuri proprietari non lo richiederanno e forse perché semplicemente il Maestro ha deciso così.
Probabilmente non la vedremo mai neanche in pista, forse perché il suo destino la vedrà relegata all'esposizione pubblica o privata.
Non è una Bimota, anche se è stato utilizzato come propulsore lo stesso di derivazione BMW S 1000 RR, con specifiche diverse. In doveroso ricordo ed omaggio al Maestro, nonché socio fondatore di Bimota, Massimo Tamburini pubblico gli articoli apparsi su moto.it dell'ultima creazione, la T12 Massimo.






 
L’ultima volta che incontrai il grande Massimo Tamburini fu a metà settembre del 2013. Ero in Romagna per il GP di San Marino e andai a trovarlo, ci si conosceva da quarant’anni ma era da un po’ che non ci si vedeva. Ebbi molta fortuna. Non sapevo infatti che stesse lavorando sul progetto più avanzato ed estremo della sua vita - e ne venne fuori la video intervista che comparve in due puntate su Moto.it - e nemmeno si poteva prevedere che purtroppo, di lì a poco, Massimo si sarebbe gravemente ammalato. Il tumore ai polmoni lo ha portato via troppo presto, il 6 aprile 2014, quando aveva compiuto i settant’anni da pochi mesi.
 
Nulla è trapelato, da allora, ma il suo progetto non si è fermato affatto e oggi, grazie alla famiglia Tamburini e a pochi stretti collaboratori, prende vita. La moto straordinaria che vedete si chiama “T12 Massimo” (il numero rappresenta l'anno di inzio del progetto, il 2012) ed è un oggetto estremo che rappresenta fedelmente il suo artefice. E’ ciò che Massimo aveva sempre sognato di realizzare. Per una serie di motivi facili da comprendere, Tamburini non aveva mai potuto dare libero sfogo a tutto quello che aveva in mente. La sua lunga collaborazione con Claudio Castiglioni, Ducati prima ed MV Agusta poi, è stata fertile e felice, ma il suo modo di potersi esprimere era necessariamente collegato ai parametri che un’azienda deve avere.
 
Libero da vincoli. Così voleva sentirsi negli ultimi anni della sua vita, per realizzare una moto che potesse riassumere tutto quello che aveva in animo di fare da sempre. Senza compromessi, senza la necessità di partecipare alle corse e dunque senza i limiti imposti da un regolamento tecnico-sportivo. Il figlio, Andrea, mi riporta le sue parole. «Tutto quello che nasce da zero dovrà rispecchiare questa filosofia, e tutto quello che verrà introdotto, dalle sospensioni al motore, deve essere il meglio». Così diceva. «Non a caso - conclude Andrea Tamburini - la moto si chiama Massimo: per lui, e perché lui voleva sempre ottenere il meglio. Il massimo, appunto».
 
 
 
La moto
 
Questo è un progetto estremo in ogni sua componente (qui potete il video dedicato alla descrizione della T12 oltre alle foto e ai dati tecnici della nuova moto), e tutto ciò che non è nato in casa, come sospensioni e impianto frenante, viene dalle competizioni al massimo livello. Sospensioni Ohlins all’avantreno e al retrotreno, impianto frenante Brembo. Il motore è BMW S1000 RR, nella versione impiegata in SBK.
 
«Nella scheda tecnica – sottolinea Andrea Tamburini - dichiariamo oltre 230 cavalli. E siamo riusciti a raggiungere un peso incredibile, rapportato a questa tipologia di motore: 154,5 kg a secco. In ordine di marcia siamo al livello delle attuali MotoGP, seppure con un motore superbike e i dischi d’acciaio, che abbiamo scelto per farne un utilizzo alla portata di molti e non solo dei super esperti».
 
Tutte le sovrastrutture sono in fibra di carbonio e in questo comparto la cosa più spettacolare è il serbatoio portante; la parte anteriore, davanti al tappo di riempimento, sigilla dall’alto il filtro dell'aria formando la parte superiore dell'air-box, quindi il serbatoio si estende sotto la sella, che regge senza la necessità di un telaietto posteriore.
 
E’ un progetto avanzatissimo, la T12 Massimo, ma semplice nella sua realizzazione; molto facile l’accessibilità meccanica: basta togliere la vite che blocca anteriormente il gruppo serbatoio, due sganci rapidi laterali e tutto viene asportato lasciando in vista la scatola filtro con l’accesso ai cornetti telescopici e agli iniettori. E poi, come tradizione, ci sono innesti rapidi per la carenatura.
 
Il telaio è la parte più innovativa. Una struttura mista. Il traliccio centrale è in tubi d’acciaio speciale di derivazione militare, con una resistenza meccanica superiore che consente spessori molto sottili ed è molto stabile alle saldature. Il traliccio è collegato anteriormente alla parte granitica che incorpora il cannotto di sterzo, ricavata da fusione in terra in lega di magnesio. Stessa lega per le piastre, per il forcellone monobraccio, per il mozzo eccentrico e la base di sterzo. I cerchi sono Marchesini forgiati in magnesio.
 
«Diversi materiali – illustra Andrea - perché era forte convinzione di mio padre che questa soluzione potesse interrompere quelle perturbazioni che si generano normalmente sul telaio. Il mix di componenti (magnesio, acciaio, i supporti per la testa del motore che sono in ergal) permette il contenimento delle vibrazioni e garantisce una eccezionale rigidezza della parte anteriore, quella del cannotto, ben superiore alle moto che circolano oggi. E questa è normalmente la zona critica che crea problemi al funzionamento delle sospensioni».
 
All’avantreno si può variare l’angolo di sterzo e la geometria cambiando le due piastre, quella superiore e quella inferiore. Come su altre moto, ma qui naturalmente ogni particolare è bellissimo e molto curato. Anche al retrotreno si può variare la progressione della sospensione, agendo sui cinematismi. Da notare che i parastrappi sono incorporati nella corona, il che consente di ridurre il peso di tutto il gruppo a vantaggio del comportamento dinamico. E l’asta che varia l’assetto del mono posteriore è incernierata su una parte ricavata dal pieno che si integra direttamente nella fusione del forcellone. Bellezza e originalità fuori dagli schemi.
 
 
Il brevetto
 
Il fiore all’occhiello della struttura telaio è il dispositivo - un meccanismo, brevettato - che consente di variare a livello micrometrico la rigidezza trasversale del telaio. Addirittura, se occorre, senza che il pilota debba scendere di sella. E’ quello che Massimo Tamburini aveva teorizzato nella nostra intervista del settembre 2013 (vedi qui sotto), quando diceva: «La rigidezza torsionale non deve mai mancare, ma il punto è che trasversalmente, con gli angoli di piega raggiunti, abbiamo bisogno di avere una sospensione laterale perché forcella e ammortizzatore vengono annullati, non lavorano con quegli angoli così spinti. E la sospensione laterale puoi ottenerla soltanto attraverso l’elasticità del telaio».
 
Il meccanismo ideato da Massimo Tamburini è situato nella zona del cannotto, nella parte inferiore. Bisognerebbe vedere i disegni, per poterlo esaminare e descrivere, ma questa possibilità ci è stata gentilmente negata. Per capirci, proprio il fatto che ci siano due corpi separati - cannotto e traliccio - permette di variare il gioco tra i due elementi e così settare la rigidezza ideale per il miglior funzionamento della sospensione anteriore. Il telaio stesso funge da sospensione. Qui si può partire dalla massima rigidezza – come diceva Massimo tre anni fa - e poi calare attraverso un campo abbastanza ampio di “svincolaggio” parziale del collegamento tra i due elementi.
 
«Il principio – afferma Andrea - è piuttosto semplice in sé. La condizione che garantisce il funzionamento del dispositivo è determinata dal fatto che ci sono due corpi separati e collegati tra loro in un modo particolare. Qui, per settare al meglio la moto al variare delle condizioni della pista, si può intervenire senza smontare nulla, addirittura in griglia e in tempi ridottissimi».
 
La T12 è stata testata da Cadalora: attraverso il comune amico Luciano Guerri, Luca aveva dato a suo tempo a Massimo la sua disponibilità. Essendo legato attualmente a Yamaha, Cadalora ha ottenuto una speciale autorizzazione e parallelamente, per correttezza, chiede che non si faccia leva sul suo nome. Al telefono, comunque, si è detto sinteticamente “entusiasta”.
 
«Sull’ammortizzatore posteriore Ohlins – aggiunge Andrea - mio padre aveva chiesto una modifica, una contromolla interna. E i risultati sono fantastici».
 
Il forcellone è la parte più complessa. Pesa meno di 5 chili, nonostante la notevolissima sezione. E’ stato concepito per offrire la massima rigidezza torsionale, definita granitica, ma una rigidezza flessionale tale da far trovare al pneumatico il suo punto di deriva ottimale. Proprio per il miglior funzionamento del pneumatico. Il monobraccio è stato curato in modo maniacale da Massimo: forse, dice il figlio, come mai prima nella sua vita. Qui c’è lo spirito che lo ha portato alla creazione di una moto così estrema.
 
 
Il design
 
Riguardo allo styling, alle forme, c’è un dettaglio interessante da conoscere. Lo racconta il neo Presidente.
«Il primo imput di mio padre Massimo, e mi sorprese parecchio, fu: voglio un disegno che sia il più efficace possibile prima ancora che bello. Non volevo crederci. Massimo, lo sapete, era nato telaista e progettista, poi era diventato stilista per necessità quando nacquero le Bimota. Per metodo, lui partiva da un bozzetto condiviso ma poi strada facendo, lavorando su scala 1:1 e dimensioni reali, spesso si rendeva conto che si doveva cambiare, qualche volta anche radicalmente. E’ capitato di dover rifare completamente i bozzetti a moto realizzata. In questo caso invece lui voleva cambiare approccio ed è partito dagli studi fatti con un partner eccellente, in galleria del vento e con un’aerodinamica spinta; ma non era mai soddisfatto, la forma non era mai abbastanza bella. Finì per chiudere con la consulenza».
 
Lo scarico: anche questo è stato un bel compito da svolgere. Massimo diceva che lo scarico è un elemento importantissimo, e l’ideale per lui era che non fosse invasivo esteticamente: o bellissimo, come sulla 916 e ancora di più sulla F4, o in alternativa che non si vedesse proprio. Come qui: dalla pancia esce, sul lato destro, soltanto un millimetro del terminale. Questo scarico è stato realizzato con la Arrows di Giannelli: un quattro in uno e con un giro incredibile del terminale in pochissimo spazio.
 
Abbiamo già visto il gruppo serbatoio/sella, autoportante: con gli elementi interni alla scatola filtro che non disturbano i passaggi aria, la cassetta filtro sigillata con una guarnizione. Un gran bel pezzo di carbonio. Ecco, per fissare tutto il gruppo ci sono soltanto un dado anteriore e due sganci rapidi posteriori.
 
«Hai notato – domanda Andrea - la scritta incisa sui due sganci? Nei disegni originali sugli sganci c’erano degli scarabocchi, perché aperto-chiuso non piaceva, on-off in inglese neppure; mio padre si era appuntato “Cius e Vert”, in dialetto romagnolo e così abbiamo deciso che restasse. E sulla coda un’altra scritta: T12 Passione Determinazione Umiltà. La moto è dedicata a lui e questo era il suo slogan».
 
Non c’entra direttamente con le forme, oppure sì. La moto è così compatta da condizionare in parte anche altre scelte. Come l’impianto elettrico: i cablaggi sono in linea con le attuali MotoGP e forse c’è anche un piccolo valore aggiunto con i connettori, che sono di derivazione aerospaziale, usati in F1 e su qualche Shuttle. Qualcosa di più voluminoso non ci sarebbe stato, e poi si voleva rispettare la fedeltà al concetto dell’estremo. Per la centralina elettronica si è scelto Motec, che ha sviluppato anche il software.
 
 
La nuova società
 
Per seguire la T12 Massimo, e i suoi sviluppi, è stata costituita di recente la società Massimo Tamburini, composta dalla intera famiglia – la madre Pasquina Berardi e i tre figli Morena, Andrea e Simona - ed allargata ad altri: partecipa l’amico di vecchia data ed ex progettista Ferrari Luciano Guerri, che ha condiviso fin dall’inizio con Massimo alcune soluzioni tecniche (il telaio, ma anche tutto il cablaggio) e curato i rapporti con i diversi fornitori. Ci sono anche due disegnatori e progettisti: il primo è il fedelissimo Paolo Pichi, raggiunto poi da Dino Ciarnese nella fase avanzata del lavoro. Infine, per l’aspetto fusorio e i materiali compositi come magnesio e carbonio, figura importantissima del progetto è Franco Iorio, uno dei soci di una azienda tecnologicamente avanzata, la CPC di Modena, che lavora per le case automobilistiche più prestigiose come Ferrari, Lamborghini e Porsche, oltre che in campo militare e nei componenti per la Difesa. Con Iorio, che ha curato appunto la parte fusoria e ha fatto da capocommessa per la lavorazione meccanica delle fusioni, si è stretto un accordo.
 
Per capire fino a che punto è avanzata la costruzione della moto, va detto che ogni componente è stato analizzato ai liquidi penetranti e con le radiografie, per la massima garanzia di tenuta e affidabilità nel tempo. Tutti i protocolli sono stati applicati in modo rigido e quasi maniacale, esattamente come se si andasse in produzione domani. Ogni singolo elemento ha la sua attrezzatura definitiva per produrre ad un livello qualitativo altissimo e definitivo, naturalmente su piccoli lotti.
 
E per chiudere, possiamo parlare di costi? «Una stima – ammette Andrea Tamburini - di quanto ci può costare la moto l’abbiamo fatta, sempre parlando di piccole serie. A breve, verificate le opportunità che si potranno presentare, analizzeremo gli sviluppi. Questo, al momento, vuole essere soprattutto un tributo, per far conoscere al mondo l’ultimo progetto di mio padre Massimo».
 

by moto.it


 

 


 











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