Quasi sicuramente non vedrà mai la strada perché i suoi facoltosi futuri proprietari non lo richiederanno e forse perché semplicemente il Maestro ha deciso così.
Probabilmente non la vedremo mai neanche in pista, forse perché il suo destino la vedrà relegata all'esposizione pubblica o privata.
Non è una Bimota, anche se è stato utilizzato come propulsore lo stesso di derivazione BMW S 1000 RR, con specifiche diverse. In doveroso ricordo ed omaggio al Maestro, nonché socio fondatore di Bimota, Massimo Tamburini pubblico gli articoli apparsi su moto.it dell'ultima creazione, la T12 Massimo.
L’ultima volta che incontrai
il grande Massimo Tamburini fu
a metà settembre del 2013. Ero in Romagna per il GP di San Marino e andai a
trovarlo, ci si conosceva da quarant’anni ma era da un po’ che non ci si
vedeva. Ebbi molta fortuna. Non sapevo infatti che stesse lavorando sul progetto
più avanzato ed estremo della sua vita - e ne venne fuori la video intervista che comparve in due puntate su Moto.it - e
nemmeno si poteva prevedere che purtroppo, di lì a poco, Massimo si sarebbe
gravemente ammalato. Il tumore ai polmoni lo ha portato via troppo presto, il 6 aprile 2014, quando aveva compiuto i settant’anni da
pochi mesi.
Nulla è trapelato, da allora, ma il suo progetto non si è fermato affatto e oggi, grazie alla famiglia Tamburini e a
pochi stretti collaboratori, prende vita. La moto straordinaria che vedete si
chiama “T12 Massimo” (il numero rappresenta l'anno di inzio
del progetto, il 2012) ed è un oggetto estremo che rappresenta fedelmente il
suo artefice. E’ ciò che Massimo aveva sempre sognato di realizzare. Per una
serie di motivi facili da comprendere, Tamburini non aveva mai potuto dare
libero sfogo a tutto quello che aveva in mente. La sua lunga collaborazione con
Claudio Castiglioni, Ducati prima ed MV Agusta poi, è stata
fertile e felice, ma il suo modo di potersi esprimere era necessariamente
collegato ai parametri che un’azienda deve avere.
Libero da vincoli.
Così voleva sentirsi negli ultimi anni della sua vita, per realizzare una moto
che potesse riassumere tutto quello che aveva in animo di fare da sempre. Senza
compromessi, senza la necessità di partecipare alle corse e dunque senza i
limiti imposti da un regolamento tecnico-sportivo. Il figlio, Andrea, mi riporta le sue parole.
«Tutto quello che nasce da zero dovrà rispecchiare questa filosofia, e tutto
quello che verrà introdotto, dalle sospensioni al motore, deve essere il
meglio». Così diceva. «Non a caso - conclude Andrea Tamburini - la moto si
chiama Massimo: per lui, e perché lui voleva sempre ottenere il meglio. Il
massimo, appunto».
La moto
Questo
è un progetto estremo in ogni sua
componente (qui potete il video dedicato alla descrizione
della T12 oltre alle foto e ai dati tecnici della
nuova moto), e tutto ciò che non è nato in casa, come sospensioni e impianto
frenante, viene dalle competizioni al massimo livello. Sospensioni Ohlins
all’avantreno e al retrotreno, impianto frenante Brembo. Il motore è BMW S1000 RR, nella versione impiegata
in SBK.
«Nella
scheda tecnica – sottolinea Andrea Tamburini - dichiariamo oltre 230 cavalli. E siamo riusciti a
raggiungere un peso incredibile, rapportato a questa tipologia di motore: 154,5 kg a secco. In ordine di marcia
siamo al livello delle attuali MotoGP, seppure con un motore superbike e i
dischi d’acciaio, che abbiamo scelto per farne un utilizzo alla portata di
molti e non solo dei super esperti».
Tutte
le sovrastrutture sono in fibra di
carbonio e in questo comparto la cosa più spettacolare è il serbatoio portante; la parte
anteriore, davanti al tappo di riempimento, sigilla dall’alto il filtro
dell'aria formando la parte superiore dell'air-box, quindi il serbatoio si
estende sotto la sella, che regge senza la necessità di un telaietto
posteriore.
E’
un progetto avanzatissimo, la T12 Massimo, ma semplice nella sua realizzazione;
molto facile l’accessibilità
meccanica: basta togliere la vite che blocca anteriormente il gruppo serbatoio,
due sganci rapidi laterali e tutto viene asportato lasciando in vista la
scatola filtro con l’accesso ai cornetti
telescopici e agli iniettori. E poi, come tradizione, ci sono innesti
rapidi per la carenatura.
Il telaio è la parte più innovativa. Una struttura mista. Il traliccio
centrale è in tubi d’acciaio speciale di derivazione militare, con una
resistenza meccanica superiore che consente spessori molto sottili ed è molto stabile
alle saldature. Il traliccio è collegato anteriormente alla parte granitica che
incorpora il cannotto di sterzo, ricavata da fusione in terra in lega di magnesio. Stessa lega per le piastre,
per il forcellone monobraccio, per il mozzo eccentrico e la base di sterzo. I
cerchi sono Marchesini forgiati in magnesio.
«Diversi
materiali – illustra Andrea - perché era forte convinzione di mio padre che
questa soluzione potesse interrompere
quelle perturbazioni che si generano normalmente sul telaio. Il mix di
componenti (magnesio, acciaio, i supporti per la testa del motore che sono in
ergal) permette il contenimento delle vibrazioni e garantisce una eccezionale
rigidezza della parte anteriore, quella del cannotto, ben superiore alle moto
che circolano oggi. E questa è normalmente la zona critica che crea problemi al funzionamento delle
sospensioni».
All’avantreno
si può variare l’angolo di sterzo
e la geometria cambiando le due piastre, quella superiore e quella inferiore.
Come su altre moto, ma qui naturalmente ogni particolare è bellissimo e molto
curato. Anche al retrotreno si può variare
la progressione della sospensione, agendo sui cinematismi. Da notare che
i parastrappi sono incorporati nella corona, il che consente di ridurre il peso
di tutto il gruppo a vantaggio del comportamento dinamico. E l’asta che varia
l’assetto del mono posteriore è incernierata su una parte ricavata dal pieno
che si integra direttamente nella fusione del forcellone. Bellezza e originalità fuori dagli
schemi.
Il brevetto
Il fiore all’occhiello della struttura
telaio è il dispositivo - un meccanismo, brevettato - che consente di variare a
livello micrometrico la rigidezza trasversale del telaio. Addirittura, se
occorre, senza che il pilota debba
scendere di sella. E’ quello che Massimo Tamburini
aveva teorizzato nella nostra intervista del settembre 2013 (vedi qui sotto),
quando diceva: «La rigidezza torsionale non deve mai mancare, ma il punto è che
trasversalmente, con gli angoli di piega raggiunti, abbiamo bisogno di avere
una sospensione laterale perché forcella e ammortizzatore vengono annullati,
non lavorano con quegli angoli così spinti. E la sospensione laterale puoi
ottenerla soltanto attraverso l’elasticità del telaio».
Il meccanismo ideato da Massimo Tamburini è situato
nella zona del cannotto,
nella parte inferiore. Bisognerebbe vedere i disegni, per poterlo esaminare e
descrivere, ma questa possibilità ci è stata gentilmente negata. Per capirci,
proprio il fatto che ci siano due corpi separati - cannotto e traliccio -
permette di variare il gioco tra i due
elementi e così settare la rigidezza ideale per il miglior funzionamento della
sospensione anteriore. Il telaio stesso funge da sospensione. Qui si può
partire dalla massima rigidezza – come diceva Massimo tre anni fa - e poi
calare attraverso un campo abbastanza ampio di “svincolaggio” parziale del
collegamento tra i due elementi.
«Il
principio – afferma Andrea - è piuttosto semplice in sé. La condizione che
garantisce il funzionamento del dispositivo è determinata dal fatto che ci sono
due corpi separati e collegati tra loro
in un modo particolare. Qui, per settare al meglio la moto al variare
delle condizioni della pista, si può intervenire senza smontare nulla,
addirittura in griglia e in tempi ridottissimi».
La T12 è stata testata da Cadalora: attraverso il comune amico Luciano Guerri, Luca aveva dato a suo
tempo a Massimo la sua disponibilità. Essendo legato attualmente a Yamaha,
Cadalora ha ottenuto una speciale autorizzazione e parallelamente, per correttezza,
chiede che non si faccia leva sul suo nome. Al telefono, comunque, si è detto
sinteticamente “entusiasta”.
«Sull’ammortizzatore
posteriore Ohlins – aggiunge Andrea - mio padre aveva chiesto una modifica, una
contromolla interna. E i risultati sono fantastici».
Il forcellone è la parte più complessa.
Pesa meno di 5 chili, nonostante
la notevolissima sezione. E’ stato concepito per offrire la massima rigidezza
torsionale, definita granitica, ma una rigidezza flessionale tale da far trovare al pneumatico il suo punto di
deriva ottimale. Proprio per il miglior funzionamento del pneumatico. Il
monobraccio è stato curato in modo maniacale da Massimo: forse, dice il figlio,
come mai prima nella sua vita. Qui c’è lo spirito che lo ha portato alla
creazione di una moto così estrema.
Il design
Riguardo
allo styling, alle forme, c’è un dettaglio interessante da conoscere. Lo
racconta il neo Presidente.
«Il primo imput di mio padre Massimo, e mi sorprese parecchio, fu: voglio un disegno che sia il più efficace possibile prima ancora che bello. Non volevo crederci. Massimo, lo sapete, era nato telaista e progettista, poi era diventato stilista per necessità quando nacquero le Bimota. Per metodo, lui partiva da un bozzetto condiviso ma poi strada facendo, lavorando su scala 1:1 e dimensioni reali, spesso si rendeva conto che si doveva cambiare, qualche volta anche radicalmente. E’ capitato di dover rifare completamente i bozzetti a moto realizzata. In questo caso invece lui voleva cambiare approccio ed è partito dagli studi fatti con un partner eccellente, in galleria del vento e con un’aerodinamica spinta; ma non era mai soddisfatto, la forma non era mai abbastanza bella. Finì per chiudere con la consulenza».
«Il primo imput di mio padre Massimo, e mi sorprese parecchio, fu: voglio un disegno che sia il più efficace possibile prima ancora che bello. Non volevo crederci. Massimo, lo sapete, era nato telaista e progettista, poi era diventato stilista per necessità quando nacquero le Bimota. Per metodo, lui partiva da un bozzetto condiviso ma poi strada facendo, lavorando su scala 1:1 e dimensioni reali, spesso si rendeva conto che si doveva cambiare, qualche volta anche radicalmente. E’ capitato di dover rifare completamente i bozzetti a moto realizzata. In questo caso invece lui voleva cambiare approccio ed è partito dagli studi fatti con un partner eccellente, in galleria del vento e con un’aerodinamica spinta; ma non era mai soddisfatto, la forma non era mai abbastanza bella. Finì per chiudere con la consulenza».
Lo
scarico: anche questo è stato un bel compito da svolgere. Massimo diceva che lo
scarico è un elemento importantissimo, e l’ideale per lui era che non fosse
invasivo esteticamente: o bellissimo, come sulla 916 e ancora di più sulla F4,
o in alternativa che non si vedesse
proprio. Come qui: dalla pancia esce, sul lato destro, soltanto un
millimetro del terminale. Questo scarico è stato realizzato con la Arrows di
Giannelli: un quattro in uno e con un giro incredibile del terminale in
pochissimo spazio.
Abbiamo
già visto il gruppo serbatoio/sella,
autoportante: con gli elementi interni alla scatola filtro che non
disturbano i passaggi aria, la cassetta filtro sigillata con una guarnizione.
Un gran bel pezzo di carbonio. Ecco, per fissare tutto il gruppo ci sono
soltanto un dado anteriore e due sganci rapidi posteriori.
«Hai
notato – domanda Andrea - la scritta incisa sui due sganci? Nei disegni
originali sugli sganci c’erano degli scarabocchi, perché aperto-chiuso non
piaceva, on-off in inglese neppure; mio padre si era appuntato “Cius e Vert”, in dialetto romagnolo e così abbiamo deciso che restasse. E
sulla coda un’altra scritta: T12
Passione Determinazione Umiltà. La moto è dedicata a lui e questo era il
suo slogan».
Non
c’entra direttamente con le forme, oppure sì. La moto è così compatta da
condizionare in parte anche altre scelte. Come l’impianto elettrico: i cablaggi
sono in linea con le attuali MotoGP e forse c’è anche un piccolo valore
aggiunto con i connettori, che
sono di derivazione aerospaziale, usati in F1 e su qualche Shuttle. Qualcosa di più voluminoso non ci sarebbe
stato, e poi si voleva rispettare la fedeltà al concetto dell’estremo. Per la
centralina elettronica si è scelto Motec,
che ha sviluppato anche il software.
La nuova società
Per
seguire la T12 Massimo, e i suoi sviluppi, è stata costituita di recente la società Massimo Tamburini, composta
dalla intera famiglia – la madre Pasquina
Berardi e i tre figli Morena,
Andrea e Simona - ed allargata ad altri: partecipa l’amico di vecchia data
ed ex progettista Ferrari Luciano
Guerri, che ha condiviso fin dall’inizio con Massimo alcune soluzioni
tecniche (il telaio, ma anche tutto il cablaggio) e curato i rapporti con i
diversi fornitori. Ci sono anche due disegnatori e progettisti: il primo è il
fedelissimo Paolo Pichi,
raggiunto poi da Dino Ciarnese
nella fase avanzata del lavoro. Infine, per l’aspetto fusorio e i materiali
compositi come magnesio e carbonio, figura importantissima del progetto è Franco Iorio, uno dei soci di una
azienda tecnologicamente avanzata, la CPC
di Modena, che lavora per le case automobilistiche più prestigiose come
Ferrari, Lamborghini e Porsche, oltre che in campo militare e nei componenti
per la Difesa. Con Iorio, che ha curato appunto la parte fusoria e ha fatto da
capocommessa per la lavorazione meccanica delle fusioni, si è stretto un
accordo.
Per
capire fino a che punto è avanzata la costruzione della moto, va detto che ogni
componente è stato analizzato ai liquidi penetranti e con le radiografie, per
la massima garanzia di tenuta e affidabilità nel tempo. Tutti i protocolli sono stati applicati in modo rigido e quasi
maniacale, esattamente come se si
andasse in produzione domani. Ogni singolo elemento ha la sua
attrezzatura definitiva per produrre ad un livello qualitativo altissimo e
definitivo, naturalmente su piccoli lotti.
E
per chiudere, possiamo parlare di costi? «Una stima – ammette Andrea Tamburini
- di quanto ci può costare la moto l’abbiamo fatta, sempre parlando di piccole
serie. A breve, verificate le opportunità che si potranno presentare,
analizzeremo gli sviluppi. Questo, al momento, vuole essere soprattutto un
tributo, per far conoscere al mondo l’ultimo progetto di mio padre Massimo».
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