martedì 12 febbraio 2013

Intervista a Giuseppe Morri







Con il nostro progetto vogliamo raccontare le emozioni che il mondo delle due ruote riesce a regalare. Queste emozioni, oltre che dalle gesta di piloti, possono venire anche dalle moto, perchè ci sono moto che solo a guardarle provocano emozioni, in particolare  le moto del marchio Bimota riescono in tale elitaria impresa. Bimota è un nostro marchio storico, un patrimonio da salvaguardare, conservare e  ricordare. Abbiamo avuto il grandissimo piacere di ripercorrerne la storia intervistando uno dei tre fondatori della Bimota, casa che sta per BIanchi, MOrri, TAmburini e proprio dalle risposte di Giuseppe Morri siamo rimasti affascinati ed è ancor più aumentato il sentimento di riconoscenza verso questo uomo innovatore.
 Giuseppe Morri com'è nata l'idea, il progetto e l'azienda Bimota?
Bimota inizialmente fu costituita come società di fatto,  avendo per oggetto la costruzione d’impianti termotecnici (idraulici), cui fu data la titolazione adottando l’acronimo BIMOTA. Dopo pochi anni, uscito dalla scena Bianchi, la società proseguì l’attività a “due”, mantenendo la titolazione. Fu Massimo Tamburini a caldeggiare le prime ipotesi per l’avvio del progetto “moto”, da affiancare all’attività primaria. Una decisione che per Massimo era dettata  dalla passione, mentre per me fu più una decisione di pancia, un “azzardo” come si usa dire in Romagna; terra di motori .. ma anche di grandi giocatori. Il mio socio aveva già elaborato, per puro piacere,  una Guzzi ed una MV Agusta 600 (un capolavoro), ma per la prima moto “ufficiale” fu utilizzato il motore della Honda 750 di Massimo, unico pezzo recuperabile del suo mezzo dopo una caduta sul circuito di Misano, dove era andato a girare per divertimento. In poco più di tre anni la motocicletta diventò l’attività principale e dagli 80 mq iniziali presto si passò ad  uno stabile 10 volte più grande.
Quali sono state le prime difficoltà e poi i primi successi ?
Intraprendere una nuova attività, senza avere una preparazione specifica e non disponendo di adeguate risorse economiche, comportò rischi e sofferenze. La storia dell’azienda, tralasciando le vicende tecniche, è stata contrassegnata da momenti esaltanti e da altri molto difficili. I primi contatti da imprenditori con il “nuovo” settore furono caratterizzati da insuccessi, in particolare ricordo i flop nelle 200 Miglia di Imola nel ’73 e ’74, le mancate qualifiche di Misano nella 2° gara del 1974, sconfitte che però non incisero sulla determinazione di proseguire nella realizzazione del progetto. Tante le difficoltà incontrate anche per organizzare il lavoro e per avviare la formazione dei dipendenti. Dopo le prime gare contrassegnate da cocenti delusioni, arrivarono i risultati sportivi  conquistati da Giuseppe Elementi (Kocis), poi le prime moto costruite in piccole serie, i tronfi con la SB1 o le HDB1 e la prima commessa importante della SAID per la SB2, poi bruciata dal ministro Ossola che impose un super contingentamento per prodotti giapponesi, provvedimento che comportò un radicale cambiamento di programma esponendo a molti rischi per la società.
Una crescita che fece diventare realtà il sogno di costruire fabbricato  tutto nostro. Grande fu l’emozione (1981) del trasferimento nel nuovo stabilimento, realizzato con una progettazione in sintonia con la nostra mentalità. Anche se le difficoltà erano state tante avevamo costruito le basi per puntare al consolidamento dell’organizzazione interna e dei mercati. Purtroppo non immaginavamo di trovarci in prossimità di eventi  inimmaginabili: la separazione dei soci.
 La separazione con Tamburini, che rapporto aveva con l'uomo oltre che artista?
Massimo Tamburini e una persona cui la natura ha fatto molti doni: l’intelligenza, il carisma, la capacità di costruire con livelli di precisione comuni a pochi geni. Il mio rapporto personale è stato, fin dai primi incontri, sempre ottimo e quello professionale, caratterizzato da grande stima e rispetto: ma senza trasformarsi in una grande amicizia. La fase iniziale, gli anni difficili, dovevamo fare molto con poco (danaro), uno stress che forse influenzò decisioni che in seguito avrebbero potuto mettere a rischio il divenire dell’azienda. La separazione, che si consumò nella primavera del 1983 fu causata da vicende umane imponderabili e improvvise, e credo sia costata molto ad entrambi. Assumendo tutte le responsabilità, formali e personali, dovetti assumere una decisione molto dolorosa, ma che non ha incrinato il rispetto reciproco, anche se sono diventate occasionali le frequentazioni. Fu un episodio che mi ha segnato per la vita ma assunsi la responsabilità e le conseguenze di sospendere la collaborazione. La sostituzione di Tamburini in tempi brevi diventò la scommessa da vincere!
Dovetti tranquillizzare la nostra gente e tutto l’apparato commerciale sul quale contavamo, mantenere alto il convincimento che l’azienda non sarebbe stata snaturata, ma avrebbe conservato le sue capacità principali. Non fu impresa facile e per l’azienda prese avvio un biennio in qualche modo drammatico, tanto più che il mio ex-socio aveva aperto un laboratorio a poche centinaia di metri  dalla sede della nostra azienda. Mi fu d’aiuto l’incontro con Federico Martini, un tecnico proveniente dalla Ducati, con cui scommisi che avremmo superato la fase costellata di incertezza che stavamo affrontando. Se Tamburini aveva generato il parto del progetto “Moto” Martini ne fu padre putativo appassionato e di valore, anche se abbandonò poi la creatura. In ogni caso dei rapporti con Tamburini e Martini, persone che le quali ho condiviso vicende importanti della mia vita, conservo ricordi indimenticabili. 
Materiale esclusivo che spesso non ha trovato riscontro in forniture  adeguate hanno precluso uno sviluppo ed una crescita ed un successo  immediato, che però è arrivato con la DB1 che forse ha rappresentato la svolta in capo all'azienda.  Quale ritiene essere stato l'elemento distintivo e di  successo?
Bimota ha operato in un tempo che segnava la rinascita della moto, quando erano ancora poche le disponibilità di tecnologie avanzate, lo sviluppo significativo si registrò dalla seconda metà degli anni ’80. L’utilizzo di materiali in vetroresina, cui fecero seguito materiali compositi;  l’acciaio cromo-molibdeno, considerato compromesso ideale per la realizzazione di telai e forcelloni; le sospensioni, con il passaggio al mono-ammortizzatore (fummo tra i primi a farlo), prodotto francese De Carbon per le auto da perfezionare; la piccola componentistica oppure altre componenti che richiedevano l’impiego di attrezzature poco compatibili con i piani di ammortamento che una piccola azienda poteva sopportare (fanalerie, strumentazioni, ecc.). Alcuni interventi furono comunque effettuati, in particolare i manubri e le pedane regolabili o i cerchi, prima in magnesio di seguito in alluminio, stampati in due parti e composti sul mozzo (un calvario …). Sarebbe lungo descrivere il percorso che portò allo sviluppo delle tecnologie adottate per mettere a punto l’accensione elettrica (anche in questo caso fummo dei precursori), inizialmente dovemmo utilizzare, perfezionandolo, del materiale che la Magneti Marelli produceva per la Fiat Croma. In ogni caso le dimensioni aziendali condizionarono lo sviluppo delle idee, molte delle quali non si concretizzarono a restando progetti nella fase di elaborazione. Molto importante fu sempre stato lo studio delle forme, attraverso degli stili dei modelli prodotti negli anni si possono identificare periodi ben definiti, ritrovando spunti anche nei prodotti della grande produzione.
Considero la DB1 come il modello di moto più bello fra tutti quelli che l’azienda ha realizzato; la YB4 penso sia stata la più equilibrata per stile e funzionalità; ovviamente la Tesi è stato lo studio più avanzato che l’azienda ha coltivato. In ogni caso non è mai mancata la capacità di anticipare e di differenziare le moto Bimota dai prodotti “correnti”, sia giapponesi che italiani. La cura dei particolari, che nel tempo assunse un valore qualificante, in seguito e solo in parte ricercato e posto in evidenziato anche dalle grandi aziende. Un processo portato avanti con notevoli patimenti, perché spesso dovemmo penalizzare i bilanci, destinando alte percentuali dei ricavi alla ricerca. Non da meno è sempre pesata la dipendenza per l’approvvigionamento dei motori, molte centinaia di moto sono state prodotte anche acquistando motocicli completi dai quali prelevare i motori. Ottenemmo dal ministero l’autorizzazione per la commercializzazione delle ciclistiche di serie delle moto “caniballizzate”. Altra operazione “straordinaria” fu quella di produrre e vendere ciclistiche Bimota, avendo ottenuto l’autorizzazione per il rilascio delle documentazioni per l’omologazione dei mezzi … equipaggiati con i motori dei clienti. Ma alla base ci fu principalmente la ricerca! Scelta che sul finire degli anni ’80 fu evidenziata anche da un importante attestato ufficiale rilasciato dalla Confindustria e dalla rivista “Il Mondo”, meritata perché, analizzando i bilanci delle aziende italiane, fu accertato che il nostro era l’indice più elevato delle risorse destinate alla ricerca, nel raffronto con i ricavi.
 E l'esperienza dei gran premi ?
Fin dai primi passi fu presa la decisione di utilizzare le competizioni per conseguire alcuni obiettivi considerati importanti per il tipo di prodotto che si voleva destinare alla commercializzazione. Testare i prodotti e porne in evidenza le peculiarità attraverso le migliori prestazioni sportive, fu la scelta privilegiata. Corse gestite, seguite e vissute sempre con grande partecipazione, nazionali o mondiali che fossero. Molti gli interventi migliorativi che le corse suggerirono, indipendentemente dalle diverse direzioni tecniche in carica, nell’ordine: Tamburini, Martini e Pier Luigi Marconi. Iniziammo testando a Imola  “l’inguidabile” HB1, diventata poi una moto estremamente godibile, fino ad arrivare ai modelli Tesi portati sulle piste proprio per metterne a nudo tutte le criticità. Con moto completate dalle ciclistiche Bimota, nel periodo della mia gestione conclusa ad inizio anni’90, hanno gareggiato diverse centinaia di piloti.
Grazie alle molte vittorie (circa 300) e ai tantissimi podi conquistati, contribuirono all’affermazione del marchio (prima,) e al consolidamento (poi) di quello che (generosamente?) è definito anche un mito.
 Chi gestiva i piloti e che ricordo ha di tale periodo?
Rammento d’essere sempre stato presente in ogni decisione inerente la definizione dei programmi relativi a cosa far correr, dove correre e per la selezione dei piloti cui affidare i mezzi. Solo le designazioni di Luigi Anelli, di Giuseppe Elementi e dei fratelli Scattolari, i primi piloti ingaggiati, furono decisive le proposte di Tamburini; successivamente toccò a me fare le scelte, anche se non è mai mancata la consultazione con la Direzione Tecnica incarica.
Per il gran numero di piloti incontrati maturarono scelte molto curiose, buffe a volte, altre anche dolorose.
In particolare ricordo il progetto portato a termine nella trionfale stagione 1980, dopo aver mancato l’anno precedente la conquista del titolo mondiale nella classe350Gp con Patrick Fernandez per un banale infortunio tecnico capitato a Silverstone, cedettero i supporti laterali della carena. Ezio Pirazzini scrisse che mi aveva visto piangere al muretto del box a causa di un guasto causato da un pezzo il cui valore era di poche lire; non era vero, ma poco ci mancò. Era stata la stagione che ci aveva visti ingaggiare Mamola, passato in azienda come una meteora. Nel 1980 furono fornite, a condizioni concordate (prezzi particolari), le ciclistiche delle YB3, tubi scarico e cilindri preparati per i motori Yamaha a Johnny Cecotto, Jon Ekerold, Patrik Fernandez e Carlos Lavado; gratuite a Eric Saul che, dopo la gara di Misano sparì portandosi appresso un motore con gli accessori per andare a gareggiare con una Chevalier … le moto del quale diventarono da primi posti. A fine stagione conquistammo il titolo con Ekerold, protagonista di una straordinaria gara finale sul vecchio Nurburgring.
Un sogno si era avverato, il nostro nome nel palmares della FIM fu riportato dopo quello della mitica MV Agusta.
Anche l’ingaggio di Virginio Ferrari nel 1987 lo volli io, quella non fu una stagione facile perché il milanese temeva di non godere dello stesso trattamento riservato a Davide Tardozzi e non aveva “legato” con Martini. Nella fase finale, dopo la rinuncia alla gara dell’ Ulster e il flop di Sugo (Giappone), per conquistare un risultato rimesso in discussione dovetti richiamare tutti all’ordine e decidere di sedermi sul coperchio della pentola in ebollizione, rimandando a fine stagione lo scoperchiamento, a missione compiuta, ma non fu necessario. Avremmo potuto conquistare anche il primo titolo mondiale della F1 soffrendo meno.
Il peggio capitò l’anno successivo quando mancammo la conquista del primo titolo Superbike, molte le coincidenze negative concorsero a bruciare un sogno che era alla nostra portata fino alla manche conclusiva. Per la coincidenza con il Salone di Colonia io rinunciai alla trasferta Australia e Nuova Zelanda….
 Primo podio Elementi, poi le vittorie di Villa non riconsciute.
Fu Kocis a regalarci il primo podio, nel 1974 a Imola, nell’ultima edizione della Coppa Shell, seguirono la prima vittoria di Silvio Grassetti a Zeltweg e quella di Mario Lega a Misano. Sono stati davvero tanti i podi sui quali sono saliti piloti in sella a moto Bimota, in Europa, in nord e sud America e in Asia. Molte vittorie non figurano negli ordini d’arrivo ufficiali perché la norma che riconosceva il costruttore della ciclistica insieme a quella del motore fu introdotta sul finire degli anni ’70, a livello nazionale ed internazionale, ne sono stato il promotore e con il beneplacito delle Case giapponesi  e l’attenzione del presidente della Commissione TecnicaFIM, lo spagnolo Bultò. La parte più difficile fu quella di indurre i piloti, organizzatori e giornalisti a rispettarla. Incredibile la resistenza della Harley-Aermacchi che tentò in tutti i modi di non far scomparire il nome Bimota affiancato al loro sulle moto di Villa, Bonera e Uncini, noi avevamo fornito le ciclistiche, poi con i loro motori e le stesse ciclistiche fu prodotta piccola serie di 250GP che dominò i campionati italiani junior per diverse stagioni.
 Ferrari...emozioni intense qual'è quella a cui è maggiormente legato?
 Devo dire che ogni pilota salito in sella ad una Bimota mi fatto emozionare, ovviamente alcuni in modo particolare. Certo Ferrari è stato un amico, cocciuto fino all’inverosimile, ma anche un pilota che ha avuto meno dei sui meriti proprio per il carattere ostinato che non concedeva spazi per negoziazioni. Rifiutò l’offerta della Bimota per rinnovare il contratto e finì col rientrare nell’incertezza di precedenti stagioni; insieme perdemmo la possibilità di conquistare il primo titolo della Superbike, una vittoria che sarebbe stata ricordata per 25 anni, tanta è stata l’attesa della prima vittoria di un pilota italiano. 
 Ed il pilota, che le ha trasmesso di più?
 Non posso fare un solo nome, da tutti ho tratto informazioni e spunti importanti sul piano umano e professionale. Il pilota cui sono stato più legato è Michel Rougerie, con il quale ho condiviso un’amicizia vera; fino a che non è tragicamente scomparso a seguito di un incidente accaduto a pochi metri dalla mia postazione sulla pista di Rijeka. Per Kocis, pilota riminese, cui fu amputata una gamba per una caduta con la moto di un cliente nell’inverno successivo alla bella stagione del 1974, ho sempre avuto molta attenzione. Ho nutrito grande stima per Fernandez, una persona straordinaria come lo fu Paolo Pileri o come Peter Rubatto, gentiluomini in un mondo molto competitivo e sbrigativo Ricordi lieti mi riportano spesso a Davide Tardozzi, Virginio Ferrari, Gianluca Galasso e Giancarlo Falappa. Ho stimato ed apprezzato, per il poco che l’ho avuto in squadra, Mike Baldwin. Devo molto a Ekerold, ma il rapporto personale è stato sempre poco più che formale; un pensiero grato lo devo anche a Massimo Mattoni.
 Ritiene che oggi una simile esperienza sarebbe possibile?
Ci sono molti elementi contrastanti per giudicare se un’esperienza simile a quella che ha segnato la mia vita possa essere attuata in questi tempi. Intanto il mondo della moto è cresciuto tanto e gli spazi di miglioramento si sono ridotti al lumicino. Anche il mondo delle corse è cambiato, lasciando poco spazio alla fantasia ed a quel tanto di improvvisazione che a volte diventa il sale della vita.
La Società in generale è cambiata e intraprendere un’attività nel settore oggi sarebbe molto problematico; è già molto difficile sopravvivere.  Eppure con l’adozione delle nuove regole si sono aperti piccoli spazi, quelli consentivano le formule TT1 o F1 che fosse: motori vincolati a grandi produzioni e ciclistiche libere.
Forse sto sognando ad occhi aperti, ma sono certo che la Moto2 poi la Moto3 possono rappresentare delle grandi opportunità a disposizione delle piccole aziende. Ovviamente per chi li sa intravedere, cogliendo l’attimo ed avendo delle idee … sapendo di poterle realizzare.
 Com'è cambiato l'ambiente in questi anni?
 E’ cambiato molto, come tutta la società, ma non mi pare che la crescita sociale di grandi paesi abbia sostanzialmente inciso sul mondo della moto. I paesi emergenti pare siano e forse resteranno lontani dalle moto, in particolare dai prodotti speciali. Alcuni si stanno aprendo alle competizioni, francamente non mi pare d’avere visto grandi entusiasmi, al contrario paiono essere in forte calo gli appassionati della “vecchia” Europa. Tante le manifestazioni organizzate negli ultimi anni, troppo? Forse la congiuntura economica le selezionerà, mo non per valenza sportiva.
Il mondo delle corse è cambiato molto, si è “incattivito”, le cause sono molteplici, ma l’aspetto principale sono i costi che si sono accresciuti a dismisura: per le moto (vendute o noleggiate) anche a causa di regolamenti non sempre indovinati; per i costi per attività accessorie allo svolgimento delle gare; per il gigantismo degli impianti i cui costi ricadono inevitabilmente sul settore; per l’invadenza degli sponsor che danno molto, ma credo prendano di più … e dei quali oramai non si può più fare a meno.
 Come valuta l'attuale gestione?
 Non ho fatto grandi esperienze, ma penso che sia sempre difficile giudicare un amore dopo che sono trascorsi tanti anni dall’abbandono. Di norma io faccio sempre riferimento ad una storia che si è conclusa da 20 anni fa, quando mi sono dimesso avendo ritenuto di avere speso le migliori capacità e di non volermi restare a disposizione per realizzare  di progetti che non sentivo più miei. Non ero più in sintonia con investitori che avevano mission diverse da quelle che io avevo considerato primarie. Da appassionato (curioso) senza avere molte informazioni mi sono fatto l’idea che il grande fuoco della passione negli anni ’90 sia andato scemando e negli anni successivi ci siano state difficoltà per riavviare il furore agonistico (in pista quanto in azienda) che ci spinse a lanciare grande sfide. Sfide che quel gruppo di persone molto affiatate, seppe affrontare e spesso vincere e anche quando non ci riuscì, non diede mai l’impressione di essere piegato sulle ginocchia.
Per tutti gli anni che sono rimasto in azienda ho fatto sì che nei cassetti ci fossero sempre progetti o studi innovativi, magari non tutti indovinati, ma segno inequivocabile di vitalità. Sempre aperti e capaci di comunicare fino a fare della piccola Bimota un faro luminoso che ha continuato a brillare negli anni.
L'emozione più grande che ha vissuto? E quella che vorrebbe vivere?
Le emozioni che hanno caratterizzato i miei quasi 30 anni alla guida della Bimota sono state tante, mi riesce difficile scindere quali siano state le più forti. Tutte hanno lastricato un lungo tratto di vita negli anni di maggiore vitalità: quando mi sono sposato e sono nati i miei quattro figli. Mi emoziona ripensare a quell’esperienza, mi capita di immaginarla come un libro di memorie con tanti fatti, immagini e personaggi, da sfogliare pagina dopo pagina, per riandare ad episodi tutti meritevoli d’essere rivissuti … se fosse possibile.

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